CITTA'
DEL VATICANO
Ecco
il testo integrale dell'omelia del Cardinale
Joseph Ratzinger alla messa "Pro eligendo
Romano Pontifice",
l'ultima pubblica prima
del conclave.
"In quest'ora di grande responsabilità,
ascoltiamo con particolare attenzione quanto il
Signore ci dice con le sue stesse parole. Dalle
tre letture vorrei scegliere solo qualche passo,
che ci riguarda direttamente in un momento come
questo".
"La prima lettura offre un ritratto
profetico della figura del Messia - un ritratto
che riceve tutto il suo significato dal momento
in cui Gesù legge questo testo nella sinagoga
di Nazareth, quando dice: "Oggi si è
adempiuta questa scrittura". Al centro del
testo profetico troviamo una parola che - almeno
a prima vista - appare contraddittoria. Il
Messia, parlando di sè, dice di essere mandato
"a promulgare l'anno di misericordia del
Signore, un giorno di vendetta per il nostro
Dio".
Ascoltiamo, con gioia, l'annuncio dell'anno di
misericordia: la misericordia divina pone un
limite al male - ci ha detto il Santo Padre. Gesù
Cristo è la misericordia divina in persona:
incontrare Cristo significa incontrare la
misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è
divenuto mandato nostro attraverso l'unzione
sacerdotale; siamo chiamati a promulgare - non
solo a parole ma con la vita, e con i segni
efficaci dei sacramenti, "l'anno di
misericordia del Signore".
"Ma cosa vuol dire Isaia quando annuncia il
"giorno della vendetta per il nostro
Dio"? Gesù, a Nazareth, nella sua lettura
del testo profetico, non ha pronunciato queste
parole - ha concluso annunciando l'anno della
misericordia. E' stato forse questo il motivo
dello scandalo realizzatosi dopo la sua predica?
Non lo sappiamo. In ogni caso il Signore ha
offerto il suo commento autentico a queste
parole con la morte di croce. "Egli portò
i nostri peccati nel suo corpo sul legno della
croce?", dice San Pietro. E San Paolo
scrive ai Galati: "Cristo ci ha riscattati
dalla maledizione della legge, diventando lui
stesso maledizione per noi, come sta scritto:
Maledetto chi pende dal legno, perchè in Cristo
Gesù la benedizione di Abramo passasse alle
genti e noi ricevessimo la promessa dello
Spirito mediante la fede".
"La misericordia di Cristo non è una
grazia a buon mercato, non suppone la
banalizzazione del male. Cristo porta nel suo
corpo e sulla sua anima tutto il peso del male,
tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e
trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco
del suo amore sofferente. Il giorno della
vendetta e l'anno della misericordia coincidono
nel mistero pasquale, nel Cristo morto e
risorto. Questa è la vendetta di Dio: egli
stesso, nella persona del Figlio, soffre per
noi".
"Quanto più siamo toccati dalla
misericordia del Signore, tanto più entriamo in
solidarietà con la sua sofferenza - diveniamo
disponibili a completare nella nostra carne
"quello che manca ai patimenti di
Cristo".
Passiamo alla seconda lettura, alla lettera agli
Efesini. Qui si tratta in sostanza di tre cose:
in primo luogo, dei ministeri e dei carismi
nella Chiesa, come doni del Signore risorto ed
asceso al cielo; quindi, della maturazione della
fede e della conoscenza del Figlio di Dio, come
condizione e contenuto dell'unità nel corpo di
Cristo; ed, infine, della comune partecipazione
alla crescita del corpo di Cristo, cioè della
trasformazione del mondo nella comunione col
Signore.
Soffermiamoci solo su due punti. Il primo è il
cammino verso "la maturità di
Cristo"; così dice, un pò semplificando,
il testo italiano. Più precisamente dovremmo,
secondo il testo greco, parlare della
"misura della pienezza di Cristo", cui
siamo chiamati ad arrivare per essere realmente
adulti nella fede. Non dovremmo rimanere
fanciulli nella fede, in stato di minorità. E
in che cosa consiste l'essere fanciulli nella
fede? Risponde San Paolo: significa essere
"sballottati dalle onde e portati qua e là
da qualsiasi vento di dottrina?". Una
descrizione molto attuale!
"Quanti venti di dottrina abbiamo
conosciuto in questi ultimi decenni, quante
correnti ideologiche, quante mode del
pensiero... La piccola barca del pensiero di
molti cristiani è stata non di rado agitata da
queste onde - gettata da un estremo all'altro:
dal marxismo al liberalismo, fino al
libertinismo; dal collettivismo
all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un
vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al
sincretismo e così via. Ogni giorno nascono
nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo
sull'inganno degli uomini, sull'astuzia che
tende a trarre nell'errore.
Avere una fede chiara, secondo il Credo della
Chiesa, viene spesso etichettato come
fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il
lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi
vento di dottrina", appare come l'unico
atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si
va costituendo una dittatura del relativismo che
non riconosce nulla come definitivo e che lascia
come ultima misura solo il proprio io e le sue
voglie".
"Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il
Figlio di Dio, il vero uomo. E' lui la misura
del vero umanesimo. "Adulta" non è
una fede che segue le onde della moda e l'ultima
novità; adulta e matura è una fede
profondamente radicata nell'amicizia con Cristo.
E' quest'amicizia che ci apre a tutto ciò che
è buono e ci dona il criterio per discernere
tra vero e falso, tra inganno e verità.
Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa
fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è
questa fede - solo la fede - che crea unità e
si realizza nella carità. San Paolo ci offre a
questo proposito - in contrasto con le continue
peripezie di coloro che sono come fanciulli
sballottati dalle onde - una bella parola: fare
la verità nella carità, come formula
fondamentale dell'esistenza cristiana. In
Cristo, coincidono verità e carità. Nella
misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche
nella nostra vita, verità e carità si fondono.
La carità senza verità sarebbe cieca; la verità
senza carità sarebbe come "un cembalo che
tintinna".
"Veniamo ora al Vangelo, dalla cui
ricchezza vorrei estrarre solo due piccole
osservazioni. Il Signore ci rivolge queste
meravigliose parole: "Non vi chiamo più
servi? ma vi ho chiamato amici".
Tante volte sentiamo di essere - come è vero -
soltanto servi inutili. E, ciò nonostante, il
Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci
dona la sua amicizia. Il Signore definisce
l'amicizia in un duplice modo. Non ci sono
segreti tra amici: Cristo ci dice tutto quanto
ascolta dal Padre; ci dona la sua piena fiducia
e, con la fiducia, anche la conoscenza. Ci
rivela il suo volto, il suo cuore. Ci mostra la
sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato
che va fino alla follia della croce. Si affida a
noi, ci dà il potere di parlare con il suo io:
"questo è il mio corpo...", "io
ti assolvo...".
Affida il suo corpo, la Chiesa, a noi. Affida
alle nostre deboli menti, alle nostre deboli
mani la sua verità - il mistero del Dio Padre,
Figlio e Spirito Santo; il mistero del Dio che
"ha tanto amato il mondo da dare il suo
Figlio unigenito". Ci ha reso suoi amici -
e noi come rispondiamo?".
"Il secondo elemento, con cui Gesù
definisce l'amicizia, è la comunione delle
volontà. "Idem velle - idem nolle",
era anche per i Romani la definizione di
amicizia. "Voi siete miei amici, se fate ciò
che io vi comando". L'amicizia con Cristo
coincide con quanto esprime la terza domanda del
Padre nostro: "Sia fatta la tua volontà
come in cielo così in terra".
Nell'ora del Getsemani Gesù ha trasformato la
nostra volontà umana ribelle in volontà
conforme ed unita alla volontà divina. Ha
sofferto tutto il dramma della nostra autonomia
- e proprio portando la nostra volontà nelle
mani di Dio, ci dona la vera libertà: "Non
come voglio io, ma come vuoi tu". In questa
comunione delle volontà si realizza la nostra
redenzione: essere amici di Gesù, diventare
amici di Dio. Quanto più amiamo Gesù, quanto
più lo conosciamo, tanto più cresce la nostra
vera libertà, cresce la gioia di essere
redenti. Grazie Gesù, per la tua
amicizia!".
"L'altro elemento del Vangelo - cui volevo
accennare - è il discorso di Gesù sul portare
frutto: "Vi ho costituito perchè andiate e
portiate frutto e il vostro frutto
rimanga".
Appare qui il dinamismo dell'esistenza del
cristiano, dell'apostolo: vi ho costituito perchè
andiate? Dobbiamo essere animati da una santa
inquietudine: l'inquietudine di portare a tutti
il dono della fede, dell'amicizia con Cristo. In
verità, l'amore, l'amicizia di Dio ci è stata
data perchè arrivi anche agli altri.
Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri -
siamo sacerdoti per servire altri. E dobbiamo
portare un frutto che rimanga. Tutti gli uomini
vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma
che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici
non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo
tempo, più o meno lungo, tutte queste cose
scompaiono.
L'unica cosa, che rimane in eterno, è l'anima
umana, l'uomo creato da Dio per l'eternità.
Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo
seminato nelle anime umane - l'amore, la
conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore;
la parola che apre l'anima alla gioia del
Signore. Allora andiamo e preghiamo il Signore,
perchè ci aiuti a portare frutto, un frutto che
rimane. Solo così la terra viene cambiata da
valle di lacrime in giardino di Dio".
"Ritorniamo infine, ancora una volta, alla
lettera agli Efesini. La lettera dice - con le
parole del Salmo 68 - che Cristo, ascendendo in
cielo, "ha distribuito doni agli
uomini".
Il vincitore distribuisce doni. E questi doni
sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e
maestri. Il nostro ministero è un dono di
Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo -
il mondo nuovo.
Viviamo il nostro ministero così, come dono di
Cristo agli uomini! Ma in questa ora,
soprattutto, preghiamo con insistenza il
Signore, perchè dopo il grande dono di Papa
Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore
secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi
alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla
vera gioia. Amen". |